Giuseppe Portella ovvero la grazia di quadri brillanti di resina

Si afferma talvolta che gli artisti abbiano la possibilità di dare forma, senso e significato a un parlare per segni e immagini che affondano le proprie radici nella dimensione di ciò che non è dicibile con le parole.

Un parlare diverso e maturo si manifesta, appunto, in questa recente serie di opere, per provare ad annullare la vecchia limitante barriera di narratività e di simbolismi onirici a favore di una materia plasmata diversamente, vivificata e ossificata in superfici sensibili in grado di farsi pittura.

Occorre perciò procedere ora un passo oltre le apparenze terrene, un passo oltre i cancelli del cielo per inseguire gli orizzonti magici e luccicanti di strati di colore che danno luogo ad un tutto splendente, a opere di enorme intensità, a veri e propri fuochi d’artificio visivi.

Giuseppe Portella ha infatti condotto un’operazione di grande rinnovamento formale. Ha cercato e trovato uno spazio e una luce che tagliano l’oscurità. Sono soprattutto questo spazio e questa luce a sostenere una più ricercata emozione estetica che affiora tra le sfumature brillanti delle resine. E su questo spazio ha collocato sequenze di cerchi concentrici diafani come pietre dure, galleggianti come isole su un mare cromatico fatto di astrazione, di rarefazione, di vuoto cosmico. Sono opere che si misurano con il mistero dell’Universo. Sono opere che ambiscono ad esplorare nuovi territori e a varcarne i confini. Questi cerchi concentrici, più che essere costellazioni pulsanti di luce, assumono una dimensione simbolica aggiuntiva. Perché ogni cerchio è un richiamo all’armonia inclusiva dell’ordine dell’Altissimo. È davvero interessante il punto di arrivo di Portella: una inimmaginabile e improvvisa crescita espressiva lo ha portato, parallelamente, a esaltare la materia del suo lavoro: la resina sintetica. E dell’utilizzo di questa resina Portella possiede competenza e capacità di impiego creativo che lo fanno essere, in Italia, uno dei suoi più abili sperimentatori, in grado di fare emergere, innanzitutto, tutte le possibili alchimie del colore. È proprio da tale materia che nascono opere di grande raffinatezza in cui si mostrano inedite luci e fluide mescolanze dissacranti che allontanano l’aura antica della tradizione. Ma ciò che davvero affiora come un miracolo, nel suo più recente operare, è l’acquisizione, sempre più convinta, di una più alta consapevolezza estetica della dimensione fenomenologico-esistenziale che può essere elaborata a partire dall’uso dei nuovi materiali dell’arte. Per questa ragione l’attuale produzione di opere lo ha portato, dagli stereotipi e dagli stilemi di una precedente espressività da street art, a un più maturo linguaggio della contemporaneità, in una dimensione in cui si rinnova, fertilmente creativo, il sodalizio della bellezza e della tensione all’astrazione, con uno stupore ininterrotto per l’elemento naturale che – nel suo caso – può essere l’abisso degli spazi siderali oppure solamente la purezza più indefinita dei suoi blob.

La ricerca-sperimentazione di Portella si mostra oggi giunta a un grado di tale alta perfezione tecnica da trovare la propria forma espressiva nella costruzione di superfici fatte di luce, di trasparenze e soprattutto dell’incanto per la possibilità di un’arte intesa come poesia pura, come sogno ad occhi aperti, come cristallizzazione di un pezzetto dell’animo suo. Per questo ogni sua lavoro tocca la sensibilità del riguardante. Per questo le sovrapposizioni degli strati di resina, vanno oltre al balenio plastico e ai vibranti cromatismi propri della materia. Perché la sua sfuggente astrazione coniuga soluzioni in continua evoluzione all’interno di una superficie che diventa spazio infinito, quasi uno spazio siderale che si carica di pulsioni e di umori terrestri, di fantasmagorie di galassie con una serie di orbite infinite e gioiose, in un gioco tra l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande.

Contemporaneamente una fibrillante vorticosità, l’uso di paste cromatiche modernissime date appunto dalle resine, si concede all’inserto di altri materiali plastici per accentuare una coinvolgente rutilanza coloristica, una vera e propria festa ludica: ingenua e seria al tempo stesso.

Giuseppe Portella, per realizzare il suo percorso intriso di un linguaggio ironico e allusivo, cerca un ibrido cortocircuito tra la forza narrativa del segno e della materia, tra la seduzione formale della sostanza plastica dei manufatti e l’utilizzo di fantasmi di figurazione: è così che le sue orbite, questa sorta di bersagli da centrare, non hanno direzioni obbligate, né vincoli rigidi e nemmeno ricercano effetti prospettici.

Eclettico, multiforme, irridente alla logica della coerenza, Portella realizza solo opere di grande intensità, capaci di suscitare emozioni contrastanti: spazi misteriosi in cui perdersi e ritrovarsi, macrocosmi e microcosmi che aprono le porte al mondo dell’immaginazione.

Su queste coordinate si muove dunque un piano di lavoro che, nella sua ouverture mantovana, al museo Diocesano, ostenterà la natura di una combinazione sempre più accentuata dei recenti punti di arrivo formali e metaforici della sua pittura.

L’opera di Portella esalta infatti, in modo del tutto personale, una inventiva scaturita come da un personale grembo di energie inespresse, da un immaginario che pesca nella memoria e mette in scena una sorta di segreta fabula. L’impulso espressivo è poi funzionale alla realizzazione di un percorso in cui in significante spaesa il significato perché per l’artista non è importante scoprire quanto banalmente potrebbe esprimere il prodotto del suo lavoro bensì comprendere e verificare ciò che il suo lavoro riesce a provocare. Alla fine il suo saper fare antico, la sua capacità di homo faber, si àncora alla tangibile bellezza del manufatto, per accettare la persistenza e la concreta corporeità di una superficie pittorica rinnovata sì, grazie a pigmenti, colori e resine, ma pur sempre ad alta densità estetica.

In mostra, tra sogni a mezz’aria e acrobazie del dicibile e dell’indicibile, si palesa una leggerezza che dichiara che ciò che davvero conta è solo la capacità di dire e di esistere grazie ad una relazione seduttiva tra opera e spettatore, in assonanza percettiva, diretta. È così il tessuto d’arte che appare al riguardante restituisce il fascino di immagini felici che traducono tutta la sacralità dell’arte.